La disforia di genere: cos'è e quali sono le terapie
L’identità sessuale di ogni persona è il risultato di un intreccio di fattori fisici, psicologici e culturali. Ne parliamo con la Dott.ssa Gabriela Alarcon, psicoterapeuta.
La disforia di genere, precedentemente conosciuta come disturbo di dentità di genere, è un disagio, non una patologia, che si manifesta spesso in età pre-adolescenziale. È percepito da quelle persone che non si riconoscono nel sesso assegnato alla nascita, ma si collocano in una prospettiva opposta al loro sesso biologico o in una prospettiva non binaria.
Indice
1 Identità di genere e identità sessuale
Attualmente usiamo spesso il termine genere senza soffermarci a pensare qual è la sua storia. Tale termine rappresenta una concezione che comincia a prendere forma negli anni ‘50 del secolo scorso per distinguere la componente biologica di appartenenza (sesso alla nascita), da quella psicologica, l’identità di genere (la percezione soggettiva di sentirsi un maschio, una femmina oppure fuori da questi schemi), da quella socio culturale, cioè il ruolo in cui la persona si riconosce e identifica (l’aderire a comportamenti e aspettative socio-culturali di mascolinità e femminilità o di altro tipo, secondo John Money, la manifestazione pubblica dell’identità di genere).
Il sesso biologico
Quando si parla del sesso di un individuo ci si riferisce generalmente alle caratteristiche biologiche che contraddistinguono le femmine e i maschi.
In effetti, quando nasce una creatura il sesso viene assegnato a partire dai genitali - verrà sancito, “è un maschietto" oppure è “una femmina!”. Ma le cose non sono così semplici per noi essere umani e sappiamo che l’anatomia non è per forza destino.
L’identità di genere
Lo sviluppo dell’identità di genere è il risultato di una complessa integrazione tra fattori biologici, psicologici e socioculturali. Generalmente si sviluppa in accordo con il proprio sesso biologico e quando queste componenti confluiscono senza conflitto, parliamo di persone cisgender.
Nella maggior parte dei casi è stabile, vale a dire, un individuo si sente un uomo o una donna per tutto l’arco della vita.
Ci sono persone che invece sperimentano una discordanza tra il genere assegnato alla nascita e quello percepito a partire dall’infanzia o dall’adolescenza, discordanza che molto spesso emerge in età adulta. Parliamo delle persone transgender, cioè, di soggetti che non si sentono rappresentati dal dualismo maschio-femmina e si collocano in una prospettiva non binaria dei generi, nello spettro tra questi due punti, senza sentire per forza l’esigenza di modificare il proprio sesso biologico.
L’orientamento sessuale
Inoltre, non dobbiamo confondere l’identità di genere con l’orientamento sessuale, ovvero, da chi ci si sente attratti in senso romantico, emotivo e/o sessuale. L’orientamento sessuale è una sorta di bussola interiore che ci orienta verso l’altro nella ricerca del piacere, l’amore e la sessualità.
Non è una dimensione uniforme e immutabile, come spesso si crede, bensì è multidimensionale. Sebbene per la maggior parte delle persone la direzione verso l’oggetto è la stessa e, attrazione erotica e romantica confluiscono, non sempre queste dimensioni vanno pari passo (es: un uomo considerarsi omosessuale ed essere attratto emotivamente anche dalle donne).
Le persone trans non sono diverse dal resto delle persone e possono scoprire di essere eterosessuali, omosessuali, bisessuali oppure asessuali, a prescindere dal genere nel quale si identificano nel più intimo.
2 La disforia di genere
Le persone transgender possono sentire di appartenere all’altro genere rispetto a quello assegnato alla nascita e transitare da un genere all’altro:
- da uomo a donna (MtF=male to female)
- da donna a uomo (FtM= female to male)
all’interno della dicotomia donna/uomo.
Altre persone transgender, invece, non si riconoscono in un identità di genere binaria (non binari) e possono muoversi tra i generi, come chi sente di appartenere a entrambi (bigender), chi sperimenta una variazione tra i generi durante il corso del tempo e, a seconda delle situazioni (gender fluid).
Il concetto di disforia di genere si riferisce al disagio provato in relazione alla discordanza tra il genere assegnato alla nascita e quello percepito.
Prima del 2013, anno in cui è stato introdotto, la diagnosi era “disturbo dell’identità di genere”. Osserviamo che con il concetto di disforia si toglie il focus dall’identità come problematica e si mette in rilievo la sofferenza che questa condizione comporta.
3 I criteri diagnostici
Secondo il DSM-5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) la Disforia di genere viene definita come una marcata incongruenza tra il genere espresso da un individuo e il genere assegnato, della durata di almeno sei mesi, che si manifesta attraverso almeno due criteri dei seguenti:
- marcata incongruenza tra il genere esperito e le caratteristiche sessuali primarie e/o secondarie
- desiderio di liberarsi delle proprie caratteristiche sessuali primarie e/o secondarie a causa di una marcata incongruenza con il genere esperito di un individuo
- desiderio delle caratteristiche sessuali primarie e/o secondarie del genere opposto
- desiderio di essere trattato come appartenente al genere opposto
- convinzione di avere sentimenti e le reazioni tipici del genere opposto
Inoltre, la condizione è associata a sofferenza clinicamente significativa o a compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti della vita.
4 L'approccio psicoterapeutico
Prima del coming out ci sono tanti interrogativi ai quali il soggetto non sa dare risposta, domande che versano sull’accettazione/rifiuto degli altri, sul loro giudizio, sul futuro, sui progetti possibili. C’è l’incertezza da affrontare.
Ci sono casi in cui molto precocemente i soggetti si affermano nella propria identità di genere ed esprimono il loro desiderio di iniziare una transizione.
In altri casi, le persone soffocano questa loro percezione e si sforzano di vivere una vita che si colloca nella norma sociale seguendo ciò che è il ruolo di genere atteso, finché l’angoscia prende il sopravvento e non riescono più a nascondere la loro percezione, il loro vissuto.
Si può reperire nel racconto delle persone transgender questo momento di coming out come un momento di rottura, un prima e un dopo, uno spartiacque tanto doloroso quanto liberatorio.
E’ interessante notare come la persona riesca a reintegrare, partendo da questa faglia, molti aspetti della propria storia, recuperando ricordi, reinterpretandoli, riscattando frammenti di vita negati, nascosti, vissuti talvolta nella clandestinità e nella segretezza.
Molti riferiscono di aver vissuto per anni una doppia vita: pubblicamente hanno seguito i canoni della società, vivendo all’interno di un matrimonio, procreando, cercando adeguarsi agli stereotipi, aspettando di guarire un giorno da questo senso di inadeguatezza e di essere sbagliati.
Farsi avanti e riuscire a parlare della propria percezione di genere - fare coming out - permette di uscire dalla dissociazione in cui ci si trova e dal terribile conflitto che appesantisce l’esistenza.
In questo momento, la psicoterapia può essere una risorsa efficace per elaborare e soggettivare ciò che sta accadendo.
5 Il percorso di transizione
In Italia il percorso di transizione si regola in base alla Legge 164 del 1982 che consente alle persone di cambiare sesso.
Il primo passo da fare in una transizione è rivolgersi ad uno psicologo esperto in questo campo che possa ascoltare e accompagnare la persona nell’acquisizione di consapevolezza della propria disforia e nei successivi passaggi della sua transizione, oltre a certificare la diagnosi.
Successivamente è possibile, sotto la guida di un endocrinologo, impostare una TOS (Terapia Ormonale Sostitutiva) che apporta importanti modifiche al corpo.
Dopo un periodo di vita nei panni del genere percepito (Real Life Test) si può avviare la procedura di adeguamento anagrafico o la richiesta di autorizzazione all'intervento chirurgico di riconversione.
La psicoterapia
Quando una persona richiede un consulto occorre capire a che punto della transizione si trova: se la persona ha già iniziato a vivere nei panni del genere desiderato e/o se si fa chiamare dal suo intorno con il nome scelto oppure se è agli inizi, non ha ancora una direzione chiara da prendere e c’è da approfondire su i dubbi che può portare sulla propria identità di genere.
Affidarsi ad un professionista preparato è essenziale per raggiungere maggior consapevolezza, elaborare la propria storia ed integrare il passato ad un presente contrastante, lavorare sull’omofobia interiorizzata e attingere alle proprie risorse personali per fare fronte al cambiamento, tanto desiderato quanto temuto.
La terapia ormonale sostitutiva (TOS)
Una volta avviata la transizione, arriva un momento nel quale è necessario coinvolgere l’endocrinologo che potrà valutare l’inizio della terapia ormonale che ha effetti molto palpabili sul reale del corpo.
L’introduzione degli ormoni è un passaggio molto ambito che, nel caso in cui la persona cambiasse idea, consente al soggetto di de-transizionare. Nella maggior parte dei casi le persone convalidano il loro desiderio di proseguire con il percorso intrapreso.
Il real life test
L'esperienza di “Real life”, cioè, vivere nei panni del genere percepito, consente di profilare un’immagine nuova e coerente con il proprio vissuto.
Le associazioni autorevoli in materia suggeriscono di svolgere almeno dodici mesi di real life prima di rivolgersi ad un legale per chiedere al Tribunale di autorizzare eventuali interventi chirurgici e/o l’adeguamento anagrafico del nome. Sarà d’obbligo un momento di sfasatura in cui c’è un divario tra l'esperienza di genere e l’Altro sociale che ancora registra la vecchia identità anagrafica.
Può essere un momento difficile per questa ragione, però, le persone che hanno una buona stima di sé riescono a vivere questo momento con meno ansia e a far fronte al contesto sociale facendone parte e non auto-escludendosi.
La riconversione chirurgica
Attualmente è possibile fare una transizione senza dover fare per forza alcun intervento chirurgico, grazie alle modifiche effettuate sulla legge. Ogni soggetto potrà valutare, una volta in possesso della sentenza del Tribunale, se e quali interventi eseguire.
Nel linguaggio comune si fa riferimento all’intervento chirurgico di riassegnazione dei caratteri sessuali (RCS), come intervento di “cambio sesso”, il che può essere fuorviante e riduttivo, poiché, sebbene comporti la demolizione/ricostruzione dei genitali, questo intervento coinvolge tutta la vita di una persona che sta lottando per affermare la propria identità al di fuori degli schemi precostituiti.
Questo tipo di intervento non è la fine della transizione bensì l’inizio di una nuova tappa nella vita di una persona. E’ vero che la medicina può dare risposte che una volta erano fantascienza, ma è molto importante sottoporsi a questi tipi di intervento (vaginoplastica - falloplastica) sapendo che non sono la soluzione a tutti i problemi e mantenendo delle aspettative realistiche sugli esiti.
Gabriela Alarcon
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