Antonio Fantin il ragazzo d'oro dal sorriso che conquista
L'intervista con il campione paralimpico e mondiale di nuoto.
Incontriamo Antonio Fantin pochi giorni dopo il suo rientro dal Portogallo dove agli ultimi Mondiali di nuoto paralimpico di giugno ha conquistato tutto ciò che si poteva aggiudicandosi quattro medaglie d’oro che vanno ad implementare la sua già notevole raccolta ottenuta con altri due mondiali e con l’oro di Tokyo 2020.
Antonio Fantin, che effetto fa a un giovane, poco più che ventenne, essere un Campione paralimpico e mondiale di nuoto così importante?
Devo dire che se ci avessi pensato, se solo me lo avessero detto quando abbiamo iniziato questo percorso, non mi sarei visto di certo in grado di arrivare fin qui, oggi. Tutto nasce da un percorso di riabilitazione, perché a tre anni e mezzo sono stato colpito da una MAV (Malformazione artero-venosa) e da quel momento è stato intrapreso un progetto riabilitativo per cui fu consigliato ai miei genitori, oltre a una fisioterapia mirata, anche di mettermi in acqua e di accedere all’attività del nuoto.
Da iniziale pratica riabilitativa, il contatto con l’acqua e la piscina sono divenuti ben presto la sede della mia attività sportiva e l’opportunità di immaginare un orizzonte diverso, possibile da raggiungere.
Poi, piano piano, giorno dopo giorno, quello che all’inizio era un sogno è divenuto un obiettivo. La vita secondo me è fatta di tanti piccoli tasselli che prima o poi si incastreranno. L’importante è saper apprezzare il viaggio, prima ancora che gli obiettivi e le mete.
Sopratutto è importante fare dei sogni talmente astratti, apparentemente irrealizzabili e farne degli obiettivi, renderli qualcosa di concreto.
Come si fa a trasformare un sogno in un obiettivo?
Il passaggio è molto semplice: porre una data ai nostri sogni. Una volta che poniamo loro una data, eliminiamo quel procrastinare il sogno, quel chiuderlo in un cassetto e iniziamo a pianificarlo, a volerlo raggiungere e piano piano riusciamo a completare e unire un tassello dopo l’altro. È stato bello arrivare a questi risultati sportivi ma si è trattato di un viaggio che contiene tanti piccoli risultati più che una sola meta raggiunta.
Da dove deriva questa consapevolezza e maturità? Ha influito nella tua formazione personale la disciplina dello sport?
A tre anni e mezzo il viaggio sembrava finito, ancor prima di cominciare. Dunque poteva sembrare complesso intraprenderlo. Però è stato un punto: poi abbiamo cercato di andare a capo. Io ho avuto tre grandi sfere di influenza che hanno permesso di intraprendere e quindi continuare il percorso.
Una è stata certamente lo sport che ha influenzato la mia vita ma che è stata anche influenzata dalla mia vita degli anni precedenti. Però le due sfere principali di influenza sono state la famiglia e gli amici che poi sono diventati una famiglia acquisita, in un certo senso.
Il saper costruire un rapporto di fiducia reciproca, cioè fidarmi e trasmettere fiducia, è un aspetto che ho ritrovato anche nel nuoto e in tutte le persone che collaborano con me per ottenere il risultato. La costanza, che mi è stata trasmessa dalla famiglia, il saper apprezzare ogni piccolo risultato raggiunto, il saper trasformare un ostacolo in un’opportunità: sono questi gli elementi della mia vita che ho cercato di trasferire anche nel nuoto. Famiglia e amici sono state due grandi sfere di influenza ma soprattutto importanti compagni di viaggio.
Momenti critici ce ne sono, ce ne sono stati?
Ce ne sono sì, però, se guardiamo al nuoto, ho avuto la fortuna di vivere sempre un’esperienza molto bella, intensa, fresca. Il mio primo mondiale si è svolto a sedici anni, nel 2017. Da allora ho sempre vissuto tutto il percorso sull’onda dell’entusiasmo, con la volontà di voler raggiungere l’obiettivo successivo, sempre maggiore: il Campionato mondiale di Città del Messico (2017), il Campionato europeo a Dublino (2018), il secondo Campionato mondiale, a Londra (2019); il tutto proiettato all’appuntamento delle Paralimpiadi di Tokyo 2020.
Avevo pensato che non ci sarebbe stato un obiettivo più grande da raggiungere e ho vissuto un momento di riflessione, ho sentito la necessità di vivere qualche mese di assestamento. Poi, però, ho ritrovato gradualmente gli stimoli, i nuovi obiettivi e la voglia di riconfermare quanto avevo raggiunto negli anni precedenti. Quindi sì direi che ci sono stati momenti critici.
Io credo che tutti noi viviamo continue sfide quotidiane e continui obiettivi quotidiani. Secondo me l’elemento in più, quel segreto sta nel voler guardare alla difficoltà come a un’opportunità!
Non è semplice, sopratutto all’inizio quando magari la difficoltà è grande e sembra che tutto il mondo ti cada addosso.
Io ho trovato sempre due elementi che mi hanno aiutato: innanzitutto chi mi ha accompagnato sempre in questo viaggio e poi il saper guardare sempre con una nuova prospettiva alla vita.
Non perdere mai di vista gli obiettivi, anche se presentano delle difficoltà; ma preso atto di queste, anche se difficilmente superabili, l’obiettivo si può raggiungere in un modo diverso.
Faccio un esempio: fin da piccolo io amavo giovare a calcio. Quando mi sono ammalato ho continuato a giocare a calcio, certo non potevo più tirare con il pallone, ma...mi sono messo in porta con la mia carrozzina!
Ciò che vorrei trasmettere è che possiamo trovare sempre un modo diverso per realizzare ciò che amiamo e raggiungere i nostri obbiettivi.
La malattia cosa significa per te?
La malattia è stata una grande prova sia per me sia per la mia famiglia e successivamente per quanti mi sono stati vicino. Devo dire tuttavia che la malattia ha comportato fare tante scelte, più che rinunce; tanto lavoro e costanza. La malattia ci ha insegnato tanto.
Colpisce questa dimensione della tua esistenza, sempre al plurale, in comunione con le persone a te vicine.
È così. Nel libro che ho scritto dico questo: la mia vita non è mai stata solo mia. Ed è anche questa forse una delle ragioni per cui ho deciso di raccoglierla, ripercorrerla e raccontarla: come forma di ringraziamento verso tutti coloro che sono stati con me in questi anni.
Tornato da poco dai Mondiali del Portogallo dove hai ottenuto quattro medaglie d’oro e hai confermato i tuoi record. Quali sono le prossime mete?
Mi attendono il Mondiale di Manchester l’anno prossimo e poi la Paralimpiade di Parigi nel 2024 il che comporta allenamenti intensi: due appuntamenti così importanti così vicini alzano molto l’asticella dell’impegno e della sfida con gli avversari. Nel frattempo studio all’Università Economia e Commercio.
Cosa vuoi dire della tua malattia?
Devo dire che io ho avuto la fortuna di essere stato colpito dalla malattia, la MAV, abbastanza giovane, da bambino. Ho avuto la sfortuna non tanto della rarità della patologia, quanto piuttosto il dove questa patologia si è formata e cioè a livello midollare.
La giovane età, l’entrare subito in acqua iniziando la riabilitazione, mi ha permesso di avere un ottimo miglioramento e di tornare a compiere qualche passo, di camminare con l’ausilio di tutori e stampelle.
Per chi è fortunato e può tornare in piedi, può camminare, può vivere ancora quella prospettiva, anche nel rispetto di chi è meno fortunato, io voglio dire e incoraggiare a provarci. Chi può e ha la fortuna di poter provarci non può rinunciarvi. Anch’io ho cominciato così.
Piano piano, con la riabilitazione, con il contatto con l’acqua, sia con il nuoto sia con la fisioterapia, piano piano, tassello dopo tassello abbiamo ottenuto importanti risultati quando invece al principio tutto sembra impossibile.
Io ho cominciato a Bibione usufruendo anche della piscina termale. Poi sono passato nella piscina di Lignano: è questo percorso che mi ha permesso di arrivare fino alle paralimpiadi, fino a Tokyo 2020. I risvolti possono essere positivi nella misura in cui una persona si dedica con costanza al lavoro quotidiano, alla fisioterapia, alla riabilitazione ogni giorno.
Secondo me è soprattutto un fattore mentale: crederci sempre, guardare con positività ad ogni singolo miglioramento, il prendere subito qualsiasi peggioramento o difficoltà che possano intervenire come un’opportunità per migliorare. Mettere un punto e andare a capo.
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