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Arianna Fontana: la regina del ghiaccio

Arianna Fontana: la regina del ghiaccio

Pattinatrice e campionessa olimpionica di short track, è portabandiera dello sport italiano nel mondo.

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Nata a Berbenno di Valtellina, Sondrio il 14 aprile 1990, Arianna Fontana è un mito dello sport invernale italiano. La Regina del ghiaccio esordisce alla sua prima olimpiade aggiudicandosi un bronzo ai Giochi di Torino 2006.

Tra le tante altre medaglie conquistate spicca la doppia affermazione d'oro sui 500 metri ai Giochi Olimpici di Pyeonchang 2018 e di Pechino 2022. Si è laureata inoltre Campionessa europea per sette volte e ha conquistato il podio ai Mondiali in quattro occasioni (argento a Mosca 2015, bronzo a Sheffield 2011, Shangai 2012 e Dordrecht 2021).

Con undici medaglie ai Giochi Olimpici Invernali, Arianna è la donna italiana più medagliata di sempre ai Giochi e la nuova detentrice del record che prima apparteneva a Stefania Belmondo (dieci medaglie olimpiche). Arianna Fontana è Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana.

1 Qual è la tua parola chiave, quella che meglio descrive la tua personalità?

Evoluzione. Questa è la mia parola: la continua evoluzione richiesta dalla pratica sportiva esprime e riassume la mia esperienza di atleta e di persona. Lo sport, infatti, mi ha aiutata a capire che per andare avanti nella vita, non solo per superare gli ostacoli ma anche per raggiungere gli step richiesti per migliorare, mi sono sempre dovuta evolvere. In particolare, poi, anche lo Short track ogni anno cambia e di conseguenza anch’io devo recepire il cambiamento ed evolvere con esso.

2 Quali consideri le tappe principali della tua lunga carriera? C’è stato un punto di svolta?

Il primo punto di svolta, quando ero più piccola, è stato quando sono stata chiamata in nazionale la prima volta: avevo tredici anni e, dunque, non avevo ancora l’età per gareggiare con la formazione nazionale; l’allenatore di allora ha però intuito che c’erano delle potenzialità su cui puntare e ha voluto che mi aggregassi alla squadra per verificare le mie capacità messe alla prova.
Allora mi sono detta: “Ok, vedono qualcosa in me, allora sono sulla strada buona per arrivare in squadra”. In quel momento entrare in squadra era il mio primo importante obiettivo. Una volta entrata si sono poi manifestati tanti altri obiettivi che volevo raggiungere.

Una seconda tappa decisiva è stata quando sono riuscita a vincere il mio primo titolo europeo, nel 2008 A Ventspilis in Lettonia. In quell’occasione c’erano tante altre brave atlete e sono riuscita a battere Evgenia Radanova che era stata il mio idolo fin da giovanissima. Evgenia si allenava in Italia per le Olimpiadi invernali e fin da subito è diventata la mia mentore; mi ha presa sotto la sua ala protettrice e mi ha aiutata, in quei miei anni giovanili, quando avevo quattordici o quindici anni, a capire cosa fosse meglio fare e cosa invece no.
Quando poi l’ho battuta, lei che era stata l’unica atleta europea fino a quel momento a vincere medaglie olimpiche nello Short track, per me è stato un grande onore.Lìhocapitochecisarebbestatauna nuova evoluzione: battere le atlete asiatiche e quelle nord americane. Io e Evgenia ci sentiamo ancora oggi, ci confrontiamo su molti temi non solo sportivi.

Nella stagione 2011/2012 ho chiuso al primo posto la classifica generale della Coppa del Mondo di Short track. Durante le stagioni precedenti ero sempre arrivata nelle finali ma non era mai arrivato il podio. Poi, di punto e in bianco ho vinto con una medaglia d’oro: ho capito che potevo farcela, che potevo vincere!
Finché non vinci infatti hai sempre qualche dubbio, o pensi che non sei forte abbastanza ma quando tagli il traguardo per primo ecco allora lì scatta qualcosa e si apre ancora una volta un altro mondo.

Una tappa fondamentale è stato poi l’incontro con Anthony [Anthony Lobello, allenatore e pattinatore di Short track italo americano. Arianna ed Anthony si sono sposati a Colico il 31 maggio 2014 N.d.R.] grazie al quale ho avuto la possibilità di vedere un’altra me, mi ha fatto scoprire capacità di atleta che non sapevo ancora di avere, è riuscito a tirarle fuori portandomi a vincere le Olimpiadi di Pyeongchang nel 2018 e di Pechino nel 2022. Grazie al lavoro che abbiamo perseguito insieme sono arrivate le medaglie d’oro e le altre.

3 C’è una gara che ricordi con maggiore emozione?

Ce ne sono tante. Diciamo che ogni prima vittoria non si scorda mai. Sicuramente ogni medaglia olimpica porta con sé un periodo precedente di quattro anni composto di tanto lavoro che porta a rendere ogni vittoria unica, bella, emozionante.

Se devo ripensare all’ultima olimpiade ecco, sono stata travolta da tutte le emozioni immaginabili perché era stato difficile arrivare a quell’appuntamento e, quando ho vinto l’oro, tutto ciò che tenevo dentro è esploso.
Anche l’ultima medaglia, l’argento nei 1500 metri, è stata la rivincita rispetto all’edizione precedente dove non avevo ottenuto il podio. Inoltre, ho sentito la forza e la spinta a “combattere” fino alla fine, nonostante qualche giorno prima fossi stata eliminata nei 1000 metri.

Cosa pensi dell’espressione “sport minore” spesso utilizzata dai media per citare gli sport meno conosciuti com’è anche il tuo?

Io non reputo nessuno sport “minore”. Per me la cosa importante è la storia che riguarda ciascun atleta. Ci sono tanti atleti, da tutto il mondo, dietro queste discipline così dette “minori”, che hanno fatto tanto per lo sport che praticano e per rappresentare al meglio il loro paese: c’è tanta passione, c’è la loro vita.
Cerchiamo tutti di essere la migliore, il migliore, in quella disciplina che, in fondo, è come tutti dovrebbero affrontare la loro vita, il loro lavoro. Immagino, ad esempio, che fuori della casa di ciascuno ci possa essere una targhetta con su scritto “qui vive il miglior insegnante al mondo”, “qui vive il miglior elettricista al mondo” e così via: dovrebbe essere così se ciascuno di noi riuscisse a dare il meglio di sé in tutti gli aspetti della vita. Per alcune persone il mio sport potrebbe essere meno importante ma questo non conta: ciò che conta è che sia praticato al meglio.

Se tutti facciamo al meglio la nostra attività allora tutta la società prospera.

4 Da bambina hai cominciato subito con il pattinaggio?

Quando ero piccola i miei genitori mi hanno proposto di praticare più di uno sport: ho sciato, ho nuotato, ho partecipato alle corse campestri con la scuola, ho sperimentato la pallavolo e hanno provato anche a farmi praticare il calcio ma con poco successo!
Tuttavia il mio interesse ricadeva sempre sul pattinaggio, il mio primo amore. In particolare, lo Short track mi è sempre piaciuto moltissimo e mi ha attratto fin da subito per quella sua caratteristica unica: la velocità. Il fatto di andare veloce e con le mie sole forze, percepire quella sensazione dell’aria che tira la pelle del volto e ti fa sentire fisicamente la velocità è ciò che mi emoziona molto ancora oggi e che non sono mai riuscita a trovare in altre discipline.

Ritengo sia importante far provare ai bambini diverse discipline sportive e che queste siano vissute come gioco, divertimento.

Il luogo dove sei nata, la provincia di Sondrio immerso nel paesaggio montano, ha in qualche modo influenzato la tua scelta?

Direi di no. Lo sport che pratichiamo non dipende da fattori ambientali. Un esempio è mio marito Antony che pur essendo nato in Florida ha praticato il pattinaggio su ghiaccio. Alla fine è sempre una questione di scelta a determinare la pratica sportiva. Non dipende da dove nasci ma è il supporto della famiglia e della comunità con cui cresci e in seguito le persone che decidi di avere al tuo fianco. Il posto in sé, personalmente, conta relativamente: nulla vieta a chiunque di praticare lo sport che si desidera.
Sono però legata al mio territorio: casa è sempre casa. Stare tra le “mie” montagne è sempre bello; anche se, lo ammetto, ora amo molto stare anche al caldo della Florida.

Benessere fisico ed emozionale nella pratica sportiva agonistica: come vivi queste dimensioni?

Mi è capitato qualche stiramento muscolare per sovraccarico. Con gli anni ho capito quando arriva il momento di staccare e concedersi una pausa. Non siamo robot. Il nostro corpo è una macchina meravigliosa ma non è fatto di acciaio. Ho imparato ad ascoltare le esigenze del corpo. La fase di recupero è importante tanto quanto gli allenamenti. 

Sotto l’aspetto fisico, sono stata fortunata e ho capito, con gli anni, quando potevo spingere e quando invece era meglio invece rallentare. È una consapevolezza che l’atleta acquisisce ascoltandosi, ma anche grazie alle persone che lo seguono e che ha al suo fianco, che lo conoscono, che conoscono gli obiettivi che vuole raggiungere e che lo aiutano a rallentare quando è necessario.

La parte fisica, l’allenamento, per me, è quella più facile. Cioè, quando hai il tuo obiettivo e sai perché fai quello che fai, lo fai e basta, non ci sono scuse, c’è un programma da seguire e fasi di allenamento, degli step da superare; pertanto, sai che sei disposto a compiere tutto ciò che è necessario per raggiungere ciò che vuoi.

Per quanto riguarda il benessere emozionale è importante riconoscere fin da subito il ‘proprio perché’ e continuare a tenerlo a mente, come un faro: ciò aiuta ad affrontare i periodi critici, che comunque arrivano e possono essere anche personali, non necessariamente legati alla disciplina sportiva.
Infatti, non è sempre facile essere presenti totalmente a sé stessi; anch’io ho avuto i miei momenti più bassi, quelli in cui, magari, pur non dubitando di me, avevo però il timore di non riuscire a raggiungere le mie aspettative. Come li ho superati? Grazie al supporto importante delle persone di cui mi ero circondata che hanno saputo sostenermi e grazie al ricordarmi quale fosse il mio personale modo di vedere le cose. Io ho sempre avuto una mia visione e ho fatto di tutto per mantenere fede al mio perché.

Dal tuo osservatorio, quale consiglio dai ai giovani che si approcciano allo sport?

Lo sport è una scuola di vita. Insegna veramente tanto. Purtroppo però, bisogna anche dire che lo sport non è sempre giusto: dobbiamo imparare ad affrontare tutte le situazioni, non solo i momenti di esultanza ma anche quelli critici; lo sport obbliga a confrontarsi con le sconfitte, a prendere decisioni, quelli migliori per affrontare una competizione. Tutto ciò è un bagaglio che ci si porta poi anche nella vita di tutti i giorni ed è formativo per la costruzione della personalità.

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