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Carcinoma al seno e linfedema: i diversi trattamenti in chirurgia plastica

Carcinoma al seno e linfedema: i diversi trattamenti in chirurgia plastica

L’uso di un espansore cutaneo, lembi di tessuto autologo, protesi mammarie e lipofilling possono aiutare a ritrovare la propria femminilità

Scoprire di essere affette da un tumore al seno è sicuramente un momento traumatico per ogni donna, così come il percorso che le aspetta. La chirurgia plastica viene in aiuto per ritrovare l'armonia e la femminilità compromesse.
 

Dottoressa, qual è la prima richiesta di una paziente oncologica?

Sicuramente è quella di mettersi in salvo, di conoscere le cure alla quali dovrà sottoporsi. Successivamente interveniamo noi chirurgi plastici, diciamo “un momento felice” perché si è conclusa la cura e ci occupiamo della ricostruzione della mammella.
 

Nel caso di tumore al seno, quali sono le tecniche oggi disponibili?

Bisogna innanzitutto valutare ogni singolo caso e le aspettative della paziente, in modo da definire la procedura più corretta.
Possiamo divedere le tecniche in due grandi categorie:
1. quelle che utilizzano impianti protesici per ricreare la nuova mammella;
2. quelle che impiegano tessuto autologo (tessuto prelevato dalla paziente, comunemente chiamato lembo) per la ricostruzione mammaria.
 

Come avviene la ricostruzione con le protesi?

È la più comune e richiede due tempi chirurgici: nel primo, immediatamente dopo la mastectomia, si colloca un espansore tissutale dopo la creazione di una tasca sotto al muscolo grande pettorale. Attraverso una valvola posta al disotto della cute, si procede con il gonfiaggio graduale dell’espansore, con tempi regolari (ogni15 giorni per circa 3-6 mesi) fino al raggiungimento di un volume adeguato e simile a quello del seno controlaterale sano. Solo a questo punto si procede con il secondo tempo chirurgico e la sostituzione dell’espansore con la protesi definitiva.
 

E per quanto riguarda l’utilizzo di lembi autologhi?

I tessuti per ricostruire la mammella si possono prelevare da diverse aree del corpo: dal dorso, dall’addome, dal gluteo o dall’interno coscia. Queste tecniche possono offrire risultati molto simili a quello di una mammella naturale, utile per le pazienti che non vogliono utilizzare protesi mammarie. Non sono però indicate per le donne fumatrici, con diabete o patologie vascolari. Questo procedimento è effettuato solo in centri specializzati che si occupano di microchirurgia, perché prevede il collegamento di vasi sanguigni tra il tessuto prelevato e quelli della parete toracica.
 

Esistono altre tecniche?

Sì, per le donne con un seno di piccole dimensioni e che non vogliono “corpi estranei”, esiste il lipofilling, una tecnica che consiste nel prelevare il grasso dalla paziente attraverso una liposuzione e, dopo essere stato processato e ripulito dal sangue ed altri componenti, viene trasferito a livello del seno da ricostruire mediante l’uso di piccole cannule in maniera da aggiungere volume, aumentare le dimensioni, migliorare la forma, la texture della pelle ed il profilo della mammella, potendo alcune volte sostituirsi definitivamente alla protesi. Occorrono dai 3 ai 4 interventi per raggiungere l’effetto desiderato e sovra correggere l’infiltrazione, perché parte del grasso va incontro a un processo di riassorbimento.
 

Occorre sottoporsi ad uno di questi interventi o ci sono altre soluzioni?

Capita alcune volte che la paziente non voglia procedere con la ricostruzione per paura che la malattia recidivi. In questo caso è possibile utilizzare delle protesi esterne in silicone da sistemare all’interno del reggiseno. Solitamente ciò avviene nel caso di donne piuttosto mature o che non vogliono avere “corpi esterni”.
 

Nel caso di inserimento di protesi, si possono eseguire gli esami di controllo e screening o ci sono delle controindicazioni?

Sì, è possibile eseguire tranquillamente tutti i tipi di esami. Ogni 2 anni bisogna fare un’ecografia di controllo e, ogni 5 anni, anche una risonanza magnetica per verificarne lo stato, perché le protesi sono soggette ad usura e possono rompersi. Occorre cambiarle dopo 10 anni dall’impianto.
 

Quando si completa la ricostruzione mammaria?

Con la ricostruzione del complesso areola-capezzolo (CAC). La decisione è molto personale ed è un’opzione che la donna può anche non desiderare. La ricostruzione del CAC viene eseguita circa 6 mesi dopo la fine della ricostruzione definitiva, in maniera da permettere al seno ricostruito di adattare la sua forma e la caduta naturale.

Cos’è invece il linfedema oncologico da svuotamento ascellare?

Consiste in un accumulo di linfa nel tessuto sottocutaneo degli arti. È una delle complicanze più severe ed invalidanti del tumore al seno, che coinvolge il 15-30% delle donne che si sottopongono a svuotamento dei linfonodi ascellari.
 

Come si presenta?

Con un aumento di volume dell’arto superiore omolaterale al seno coinvolto, pesantezza e rigidità del braccio. Evolve lentamente fino a cronicizzare e limitare la funzionalità del braccio.
 

Quali sono le cure?

Sono utili sia la riabilitazione che la fisioterapia, ma raramente si riduce, tende anzi a stabilizzarsi. 
Attualmente esistono solo due tecniche chirurgiche:
1. il trasferimento microchirurgico dei linfonodi prelevati da una parte del corpo (es. dall’inguine) e collegati ai vasi dell’ascella;
2. la derivazione microchirurgica linfatica venosa, che consiste nel collegare attraverso suture microchirurgiche i vasi linfatici superficiali a vasi venosi sub dermici.

Con la ricostruzione del complesso areola-capezzolo (CAC). La decisione è molto personale ed è un’opzione che la donna può anche non desiderare. La ricostruzione del CAC viene eseguita circa 6 mesi dopo la fine della ricostruzione definitiva, in maniera da permettere al seno ricostruito di adattare la sua forma e la caduta naturale.

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