Benessere e cura a portata di... mano
Un team multidisciplinare di specialisti per il trattamento a 360° delle patologie delle mani
Le mani, strumenti indispensabili di relazione con il mondo e fondamentali compagne nelle attività quotidiane e lavorative, sono spesso colpite da patologie anche invalidanti che ne possono alterare la funzionalità. H.NEST (Hand North East Surgical Team) è il gruppo di lavoro nato intorno a questo organo tanto delicato quanto complesso: chirurghi, fisioterapisti e terapisti occupazionali ultra-specializzati nel trattamento delle patologie della mano. Li abbiamo incontrati e abbiamo parlato con loro per capire come prevenire, diagnosticare e curare al meglio le nostre mani.
Dottoressa Bortot, quali sono le patologie più comuni della mano?
Le mani sono costantemente utilizzate e le patologie che possono colpirle sono molte. Alcune sono comuni, come il tunnel carpale o il dito a scatto, altre meno diffuse ma non per questo meno rilevanti. Talvolta i problemi sono conseguenza di un utilizzo “sbagliato”, ma possono influire anche altri fattori. Persino alterazioni ormonali possono determinarle.
Indicativamente possiamo dividere le patologie della mano in 5 grandi famiglie:
- congenite
- compressive e infiammatorie
- degenerative
- traumatiche
- tumorali.
L’elenco analitico sarebbe lunghissimo ed ovviamente alcune sono più conosciute di altre.
Come il famoso tunnel carpale?
Esatto. Le forme compressive ed infiammatorie sono tra le più diffuse e la sindrome del tunnel carpale è in assoluto la patologia più “chiacchierata” sia nelle donne che negli uomini. Inizialmente il paziente avverte solo un formicolio notturno nelle dita. In seguito il fenomeno si estende anche al giorno e iniziano altrisintomi come la perdita di sensibilità, il deficit di forza ed il dolore vero e proprio.
La causa del problema è lo schiacciamento di un nervo nel polso: da una fase irritativa precoce si va incontro ad una progressiva degenerazione che può compromettere gravemente la funzionalità della mano. Il formicolio notturno non andrebbe mai trascurato e nella quasi totalità dei casi, salvo rare eccezioni, è proprio un segno inconfondibile del tunnel carpale.
Dottor Cortese, quali sono gli altri disturbi più comuni?
Come ha detto la dr.ssa Bortot, l’elenco è lungo. Dobbiamo tenere presente che 1/1000 dei nati vivi presenta un problema congenito alle mani, una malformazione, cioè un disturbo presente alla nascita che può spaziare da una unione di 2 dita (sindattilia) sino alla agenesia completa di tutto un arto: questo fa capire il peso della patologia neonatale.
Anche quella tumorale con presenza di neoformazioni è molto ampia: fortunatamente nella maggior parte dei casi sono tumori benigni, ma un consulto con lo specialista è fondamentale.
Tra le forme infiammatorie non possiamo dimenticare poi il dito a scatto, il morbo di De Quervain o le epicondiliti, tutti disturbi molto frequenti. E poi l’artrosi, che colpisce le mani tanto quanto ginocchio ed anca, se non di più, causando un problema in primis funzionale ma, in molte donne, anche estetico.
Dottoressa, quanto è importante il ruolo della chirurgia?
La chirurgia è uno strumento importante per raggiungere l’obiettivo della guarigione, ma non è l’unico: la prevenzione rappresenta in assoluto la migliore arma ed anche la riabilitazione della mano svolge un ruolo fondamentale. Il nostro motto è “NON RASSEGNATEVI ALL’IDEA CHE IL VOSTRO PROBLEMA NON ABBIA SOLUZIONE”. Negli anni ci siamo resi conto che un buon intervento chirurgico non è sufficiente per guarire: l’approccio multidisciplinare è l’unico vincente. L’idea di un gruppo di lavoro è stata la naturale prosecuzione di questa consapevolezza.
Dottore, cosa intendete esattamente per “gruppo di lavoro”?
Al giorno d’oggi in campo medico non esistono più verità assolute. Ogni paziente è diverso dall’altro e rappresenta un caso specifico nella sua singolarità, che deve essere valutato nella sua unicità, e solo nel confronto tra le diverse figure professionali che concorrono alla salute può nascere un trattamento efficace. Nei nostri periodi di lavoro all’estero, dal Giappone agli USA, abbiamo testato con mano come questa mentalità sia vincente rispetto a quella del singolo professionista isolato. Integrare le competenze mediche e riabilitative è fondamentale, ma è essenziale anche un continuo scambio di informazioni per adeguare i trattamenti.
È come se il paziente fosse seguito contemporaneamente da tutti i professionisti insieme...
Esatto, ma questo avviene senza perdere l’intimità del rapporto del paziente con il suo medico o fisioterapista. Rimane comunque un unico referente chirurgico/riabilitativo che si prende cura del paziente, ma il percorso terapeutico è condiviso ed adattato anche grazie alle competenze di ogni singolo. La qualità del servizio che il paziente riceve è quindi il frutto di un intero pool di specialisti che si aggiornano costantemente, come in un coro in cui ogni singola voce contribuisce a creare l’armonia.
Dottoressa, questa integrazione è importante anche quando il paziente deve essere operato?
Certamente, anche se non è scontato. A volte si pensa che una malattia debba essere trattata con la riabilitazione o con la chirurgia, come se l’una escludesse l’altra. Ma in un organo di funzione come la mano spesso la risposta è “con entrambe”! Il chirurgo conosce i limiti oltre i quali un trattamento riabilitativo non sarebbe più adeguato ed efficace diventando solo una perdita di tempo, ed è in grado di pesare per il paziente i possibili pro e contro di un intervento. Allo stesso tempo il fisioterapista detta il timing della riabilitazione, adegua i suoi strumenti riabilitativi e raggiunge l’obiettivo funzionale con il paziente.
In che modo è utile la fisioterapia nel caso sia necessario un intervento chirurgico? Non risolve tutto il chirurgo?
Il gesto chirurgico deve essere eseguito in maniera ineccepibile, ma pensare che basti solo quello è sbagliato. Ci vuole affiatamento tra chirurgo e fisioterapista per massimizzare i risultati della chirurgia. Questo vale tanto per gli interventi “semplici” quanto nella traumatologia complessa: una frattura del polso andrebbe operata per rendere le ossa stabili tanto da permettere al fisioterapista di cominciare subito la mobilizzazione. Un tendine reciso dopo la riparazione andrebbe mobilizzato per evitare che si formino aderenze ma proteggendolo dalla rottura. Anche un semplice dito a scatto dopo l’operazione deve essere trattato per evitare la formazione di aderenze o rigidità (difficoltà di movimento). Il chirurgo mantiene la visione di insieme e coordina gli sforzi.
Una domanda per i terapisti: in cosa consiste esattamente la fisioterapia della mano?
Quando parliamo di riabilitazione della mano parliamo di una disciplina specifica. Il numero di trattamenti disponibili è elevatissimo: manovre di terapia manuale, esercizi attivi, tutori, terapie strumentali e la correzione di posture e gesti sono gli strumenti che noi terapisti utilizziamo e combiniamo. È anche fondamentale l’educazione del paziente all’autotrattamento: ripetere ed eseguire correttamente gli esercizi appresi con noi è fondamentale per guarire.
Alessandro, cosa sono i “tutori”?
In primis, vanno considerati come dei veri strumenti riabilitativi. La loro funzione può variare e possono essere utilizzati per immobilizzare un’articolazione o limitare un movimento, come nel caso di fratture o lesione legamentose, ma anche per vicariare una funzione o aiutare a recuperare un movimento perduto, come nel caso dei tutori “funzionali” o di quelli “dinamici”. Nessun tutore per la mano dovrebbe essere pre-confezionato: andrebbero sempre preparati dal terapista su misura e in maniera specifica.
Livia, quindi i tutori sono sempre realizzati su misura?
Certo. Esistono materiali termoplastici che possono essere modellati sul paziente esattamente come la stoffa di un vestito. Inoltre possono essere modificati innumerevoli volte nel corso del trattamento in base al raggiungimento degli obiettivi. Creare un tutore è un po’ come preparare un abito “su misura”, con il vantaggio che il confezionamento è rapido e indolore: in una sola seduta il paziente ha già pronto il suo tutore. Inoltre sono più leggeri del gesso, rendendo più confortevole il trattamento. Non da ultimo, permettono di essere molto specifici e di immobilizzare solo quello che è strettamente necessario, evitando che ciò che è sano diventi rigido inutilmente.
Anna, avete parlato anche di “autotrattamento”. In cosa consiste?
L’insegnamento di esercizi specifici è uno dei pilastri della riabilitazione della mano: che si tratti di una cicatrice anomala o il recupero di un movimento perduto, non possiamo pensare di raggiungere l’obiettivo funzionale con le sole sedute di riabilitazione. Solo la ripetizione quotidiana degli esercizi appresi anche a casa ed il corretto uso dei tutori permettono di mantenere i risultati raggiunti durante le sedute e migliorare in termini di forza e abilità. La sinergia con il paziente è l’unica arma vincente.
Annamaria, occorre dotarsi di qualche attrezzatura particolare per replicare gli esercizi a casa, come la “pallina”?
Assolutamente no! La “pallina” non è uno strumento della riabilitazione della mano, anzi non permette il range motorio completo delle dita e crea squilibri di forza e mobilità. Per l’attività a casa forniamo ad ogni paziente una propria scheda di esercizi specifici e differenziati sulla base della patologia da trattare. La maggior parte di questi vengono svolti senza attrezzi; a volte invece ci si avvale anche di elastici, plastiline e altri ausili per simulare le attività di vita quotidiana specifiche e accelerare il recupero funzionale.
Quanto dura di solito il percorso riabilitativo?
È difficile rispondere in senso assoluto alla domanda, dipende ovviamente dalla patologia. Le sedute fisioterapiche hanno di solito cadenza di una o due volte alla settimana, in casi complessi anche tre. In alcune situazioni, come ad esempio nel tunnel carpale o nelle dita a scatto nel post-operatorio, sono sufficienti unao due sedute in un mese. Nelle fratture o nelle lesioni legamentose, si arriva a percorsi che durano settimane e talvolta mesi. Se un paziente è collaborativo ed esegue correttamente gli esercizi, le sedute si possono dilazionare nel tempo. Il percorso è sempre unico per ogni paziente e la presa in carico avviene da parte di uno di noi, che però si confronta e relaziona costantemente con gli altri colleghi e con i chirurghi.
Dottor Cortese, si tratta quindi di un lavoro di squadra nel vero senso della parola!
Si, noi ci consideriamo questo: una squadra di ultra-specialisti. Ognuno con un ruolo importante, amplificato dalla collaborazione reciproca. Il paziente dunque deve solo seguire il percorso che costruiamo per lui e adattiamo giorno per giorno in base ai risultati raggiunti. È un rapporto diretto che rende più facile il lavoro del fisioterapista, permette al chirurgo di ottimizzare i suoi sforzi e consente al paziente di affrontare al meglio il suo disturbo, grande o piccolo che sia, sino alla guarigione.
Il lavoro in team permette al paziente di affrontare al meglio il suo disturbo.
I fisioterapisti H.NEST. Da sinistra a destra: Annamaria, Anna, Alessandro e Livia
Master in Riabilitazione della Mano. Esercitano presso le sedi del Centro di medicina.
Paolo Cortese
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