Demenze a insorgenza precoce: il ruolo del caregiver
Cosa significa convivere con la demenza a insorgenza precoce, quali sono gli ostacoli da superare e l’importanza di una diagnosi tempestiva.
Chi vive una disabilità, come la demenza a insorgenza precoce, si ritrova ad affrontare una vita che non è più quella di prima. Lo stesso vale per coloro che assistono queste persone, i cosiddetti caregiver, parola inglese che letteralmente significa “colui che si prende cura”.
Con il termine caregiver non si fa riferimento alle figure professionali sanitarie, ma a quelle persone che si prendono cura dei loro familiari disabili, spesso 24h su 24.
Oltre a vivere la sofferenza del malato, i caregiver si trovano a dover gestire pesanti carichi emotivi ed economici, che diventano veri e propri macigni. Talvolta sono costretti a rinunciare al proprio lavoro e, di conseguenza, alla loro vita sociale. Queste privazioni, a lungo andare, rischiano di innescare una serie di abitudini e dinamiche che portano la persona che accudisce il malato a trascurare sé stessa, con effetti negativi sulla propria salute.
Indice
1 Cos'è la demenza precoce?
Si parla di demenza quando i deficit cognitivi, insorti almeno da sei mesi, sono tali da indurre una perdita evidente dell’autonomia funzionale nelle attività del vivere quotidiano sia di base, riguardanti soprattutto l’igiene personale, sia strumentali quali ad esempio l’uso di telefono, mezzi pubblici, denaro, le faccende domestiche, fare la spesa, ecc.
Esistono diverse forme di demenza: le principali sono la malattia di Alzheimer, la demenza vascolare, la demenza fronto-temporale e la demenza a corpi di Lewy.
Tutte queste forme possono presentare una insorgenza precoce cioè giovanile, prima dei 65 anni di età (Early Onset Dementia, EOD).
Rispetto a quelle insorgenza tardiva, quelle precoci riconoscono una maggiore predisposizione genetica, e quindi un maggior grado di ereditabilità rispetto alle forme dell’anziano.
Le EOD, in genere, presentano un andamento peggiorativo più rapido rispetto alle forme dell’anziano.
2 Esistono dei fattori di rischio?
I fattori di rischio delle forme precoci sono:
- traumatismi cranici
- turbe del ritmo cardiaco come la fibrillazione atriale
- diabete mellito
- ipercolesterolemia
- assunzione di alcol e droghe.
I fattori protettivi sono invece un’alta scolarità, l’aderenza alla dieta mediterranea e l’attività fisica.
3 Come si effettua la diagnosi?
Le EOD hanno spesso presentazioni cliniche atipiche che rendono complessa la diagnosi.
Le manifestazioni cliniche comprendono spesso:
- sintomi neuropsichiatrici
- alterazioni del comportamento sociale
- deficit delle funzioni esecutive.
Esse richiedono il massimo impegno sia dal punto di vista clinico-diagnostico, sia dal punto di vista del supporto sociale e assistenziale.
Paradossalmente, si registra un ritardo nella diagnosi: in media 4,4 anni rispetto ai 2,8 anni delle forme tardive del paziente anziano.
Spesso le persone colpite hanno figli piccoli o comunque molto giovani. Le persone ricevono diagnosi di demenza in un periodo della vita in cui sono ancora attive dal punto di vista lavorativo, e hanno responsabilità economiche/finanziarie.
La perdita del ruolo lavorativo e delle autonomie, ad esempio la sospensione della patente di guida, incide anche a livello psicologico.
C’è il rischio che non venga effettuata una diagnosi corretta?
Sì, nelle EOD è descritta la possibilità di errata diagnosi o ritardo diagnostico, legati proprio alla giovane età del paziente che spesso orienta gli specialisti verso altre ipotesi diagnostiche e quindi altri accertamenti.
Infatti, spesso questo tipo di paziente afferisce prima in ambito psichiatrico e, solo successivamente, scartata l’ipotesi di psicosi, è indirizzato agli specialisti delle demenze.
4 Qual è il ruolo del caregiver?
Nelle EOD tende a esservi una prevalenza di forme caratterizzate da disturbi neuropsichiatrici e comportamentali importanti, che hanno un impatto non solo nel paziente, ma anche nei suoi caregiver, i quali sperimentano un elevato grado di stress.
Essi sono in genere il coniuge, anch’egli giovane, e talvolta anche un figlio. Questi ultimi lamentano in genere sintomi depressivi, solitudine, isolamento sociale e difficoltà nel conciliare il lavoro con la attività di assistenza.
Spesso il paziente costituisce una fonte importante di reddito, se non l’unica, per il suo nucleo familiare, e questo aspetto causa delle difficoltà finanziarie non indifferenti all’interno della famiglia.
Sovente i figli del paziente sono minori, e questo comporta loro problematiche di tipo psicologico nel constatare come il genitore malato non sia più il papà o la mamma di prima.
È fondamentale, quindi, che all’insorgenza dei primi sintomi il paziente si rivolga subito allo specialista per una diagnosi precoce, così da iniziare una terapia e mettere in atto tutte quelle strategie rivolte al mantenimento delle capacità cognitive residue.


Maurizio Gallucci
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