Rasha, vittima delle schegge di una bomba, è tornata a vedere con il primo trapianto italiano di cornea ibrida
Intervista al prof. Massimo Busin ordinario dell’Università di Ferrara
A Forlì i primi tre trapianti di cornea ibrida pensata per soggetti ad alto rischio di rigetto. La storia di Rasha scelta per raccontare il grande successo scientifico.
Perdere la vista a causa di alcune schegge provenienti da una bomba: una delle tante nefandezze della guerra. È questo il tragico destino che aveva colpito Rasha, una giovane donna rifugiata palestinese che, nel 2012, durante il conflitto in Siria, aveva perso la vista a entrambi gli occhi a causa di un ordigno.
Oggi, però, nella vita di Rasha, è tornata la luce grazie al primo trapianto di cornea ibrida, messa a punto dalle competenze del professor Massimo Busin ordinario dell'Università degli Studi di Ferrara, in collaborazione con la Fondazione Banca degli Occhi del Veneto.
1 Il dispositivo Intra-Ker
Si tratta del dispositivo Intra-ker, "ideato come una protesi ottica intracorneale e può essere utilizzato come cornea artificiale in interventi ad hoc, a scopo compassionevole, in pazienti per i quali il normale trapianto di cornea sistematicamente fallisce perché l'occhio non tollera la cornea da donatore", spiega il prof. Massimo Busin, ordinario dell'Università di Ferrara.
"Il dispositivo in polimetilmetacrilato - continua l'oftalmologo - si compone di una parte ottica centrale e di estremità che servono a stabilizzare la protesi nell'occhio; la protesi viene inserita avvolta da due sottili innesti di cornea da donatore, forniti dalla banca degli occhi e ricavati dall'isolamento di uno strato interno, chiamato 'pre-descemetico', spesso solo una decina di micron.
Questi due sottili lembi evitano il rischio di estrusione della protesi e, vera chiave di volta di questo processo, mantenendo nel tempo la loro trasparenza, permettendo al paziente di tornare a vedere. Un dato che, in chirurgia corneale, non era mai stato osservato prima".
Un risultato che potrà rivelarsi rivoluzionario - come nel caso della giovane donna - se si pensa che, come sottolinea il Professor Busin, "ogni anno nel mondo si effettuano 185mila trapianti di cornea, tuttavia 7mila trapianti falliscono e 12,7 milioni di cittadini a livello globale restano in attesa di trapianto.
2 La storia di Rasha
A Damasco (Siria), dopo essere stata colpita dalle schegge di una bomba, Rasha fu subito sottoposta a un trapianto di cornea bilaterale, ma il risultato non si rivelò positivo: un occhio subì un rigetto, mentre l'altro, a causa dei punti di sutura induriti, le provocò dei dolori lancinanti.
Nello stesso anno, al suo arrivo al campo profughi in Libano, Rasha venne segnalata dall'ETS ULAIA ArteSud ODV - associazione italiana che opera nel campo profughi palestinese - che prese subito a cuore la sua condizione.
Giunta in Italia nel 2016 attraverso il corridoio umanitario di Federazione Chiese Evangeliche, Tavola Valdese e Comunità di Sant'Egidio, e proprio quando le speranze sembravano affievolirsi, nella vita di Rasha, dopo tanto buio, arrivò la luce. Quella luce che dallo scorso 29 maggio, all'Ospedale Villa Igea di Forlì, è tornata a vedere grazie al primo trapianto di cornea artificiale ibrida, frutto di una lunga ricerca portata avanti con dedizione dal gruppo di studio del Dr. Massimo Busin dell'Università degli Studi di Ferrara.
Ad oggi sono in tutto tre i pazienti (tra cui Rasha) sottoposti - tra febbraio e maggio 2024 - a questo rivoluzionario intervento e, in tutti i casi, i risultati si sono rilevati molto incoraggianti.
3 Intervista al Dr. Massimo Busin
Quanto tempo è durata la sua ricerca?
All’incirca tre anni. Nel 2023 abbiamo vinto (l’Università degli Studi di Ferrara, ndr.) una borsa di ricerca competitiva finanziata con i fondi del Pnrr per creare l’attuale gruppo di studio che include Ferrara, Catania e Catanzaro.
In fase sperimentale abbiamo svolto la ricerca alla Banca degli occhi del Veneto; poi dopo aver fatto uno studio per la fattibilità del dispositivo Intraker, quindi per assicurarci che la cornea in vitro rimanesse trasparente nel tempo, siamo passati a metterlo in pratica su un paziente.
Oggi come prosegue il recupero degli altri pazienti?
Gli altri pazienti partivano da una condizione visiva differente: il loro problema non si riduceva solo alla cornea ma erano presenti altre comorbilità.
In una paziente, ad esempio, abbiamo visto cose che non potevano sapere prima, e cioè che la retina non aveva il potenziale visivo. Purtroppo in questo caso il beneficio è stato minimo; il dato positivo però è che comunque il dispositivo è stato incorporato nella cornea senza problemi e, ad oggi, non si sono verificate fuoriuscite.
L’altro paziente, invece, presentava un glaucoma grave. Ha riacquisito quattro decimi che, dal punto di vista del guadagno visivo, è un traguardo enorme.
Dobbiamo considerare che partiamo da pazienti ciechi quindi potergli offrire la possibilità, anche minima, di orientarsi e guardarsi attorno significa molto.
Qual è il prossimo step della ricerca?
Stiamo allestendo lo studio clinico per ottenere il marchio CE del dispositivo Intra-ker, quindi siamo in attesa della validazione. Stiamo preparando il fascicolo contenente le prove tecniche, di biocompatibilità, di resistenza meccanica… una volta ultimato lo dobbiamo presentare al Ministero. Dopodiché presenteremo il progetto dello studio clinico su un numero di pazienti tale da poterci permettere di verificare la validità del device. Una volta ottenuta la conferma dallo studio e l’approvazione dal comitato etico e dal Ministero, si potrà procedere con gli interventi.
Ma attendiamo il risultato, perché in queste circostanze non bisogna mai entusiasmarsi finché non è tutto messo nero su bianco. Se vedremo che questo va bene, che le complicanze sono, come io penso, molto rare e risolvibili (come invece non avviene con altri device), allora potremo ottenere il via libera per commercializzarlo o, per meglio, dire diffonderlo.
La soddisfazione più grande?
Far riacquistare la vista a chi non può vedere!
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