Come reintrodurre i carboidrati dopo una dieta chetogenica?
Dopo la prima fase di chetosi è necessario reintrodurre i carboidrati, ma come fare a non ingrassare?
Negli ultimi 32 anni il tasso di obesità nel mondo è raddoppiato e la progressione pare non stia rallentando. Non solo, patologie quali diabete e sindrome metabolica appaiono agli occhi dei clinici della nutrizione come nuove sfide da affrontare nei prossimi anni: una vera e propria endemia, attribuibile all’eccesso di assunzione di carboidrati semplici e di grassi alimentari.
Di conseguenza, i regimi dietetici poveri di carboidrati come la dieta chetogenica, negli ultimi anni, sono stati l’oggetto di studio in numerosissimi trial clinici che documentano efficacia e tollerabilità di diete ipocaloriche a basso contenuto di carboidrati e, in particolar modo, la dieta chetogenica si è dimostrata uno strumento molto efficace per una importante e rapida perdita di peso.
Abbiamo allora trovato la soluzione definitiva per combattere l’obesità? Basta veramente la sola riduzione dei carboidrati per ottenere risultati duraturi? Facciamo chiarezza.
Indice
1 Come mantenere il peso dopo la dieta chetogenica?
La comunità scientifica si interroga se gli importanti cali ponderali dati dalla dieta chetogenica possano aumentare il rischio di un altrettanto rapido e controproducente recupero della massa grassa e, conseguentemente, del peso.
Ecco perché è fondamentale, durante una dieta chetogenica, essere affiancati da uno specialista della nutrizione, in maniera tale da evitare il cosidetto “effetto rimbalzo” che potrebbe manifestarsi nel momento in cui il paziente esce dallo stato di chetosi e viene reintrodotta una quantità maggiore di carboidrati.
Si andrà, quindi, verso un regime bilanciato che condurrà il paziente alla dieta mediterranea che, a tutt’oggi, rimane lo stile di vita più equilibrato che tutti dovremmo adottare per ridurre soprattutto il rischio cardiovascolare e come investimento per la nostra longevità.
2 Quanto si può stare in chetosi?
Se adeguatamente seguiti da uno specialista della nutrizione, il mantenimento di uno stato fisiologico di chetosi può essere protratto anche per lunghi periodi, incrementando eventualmente in maniera opportuna l’apporto di grassi alimentari, quindi senza ridurre le calorie, a patto di mantenere sempre bassissimo l’apporto di carboidrati.
Per ottenere un importante calo ponderale, potrebbe essere necessario ricorrere a pasti sostitutivi, ovvero alimenti funzionali con un basso contenuto di carboidrati, normoproteici, con pochi grassi e spesso arricchiti di vitamine, funzionali alla dieta; oppure un regime “misto” con pasti sostitutivi e pasti alimentari, magari in corrispondenza del pranzo o della cena.
Ad ogni modo, è proprio la riduzione di carboidrati (secondo l’EFSA – l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare – 30g/giorno e circa 600kcal per una dieta VLCD) che permette di innescare la produzione a livello epatico dei corpi chetonici in quanto, riducendo i livelli ematici di insulina circolante, si inibisce l’attività del glucosio per ottimizzare le funzioni energetiche del metabolismo. Inoltre viene invertito il rapporto insulina/glucagone a favore di quest’ultimo che è un ormone tipicamente attivo come “demolitore” di trigliceridi di riserva contenuti negli adipociti. La scissione dei trigliceridi genera glicerolo e acidi grassi liberi. Il primo viene trasformato in glucosio. Gli acidi grassi vengono trasformati in corpi chetonici (Acetone, Acetoacetato, Beta-idrossibutirrato).
Insomma, un vero e proprio “miracolo metabolico” che il nostro corpo riesce a produrre e che, in un lontano passato ci permetteva di sopravvivere a lunghi periodi di digiuno prolungato.
3 Come riprendere a mangiare carboidrati senza ingrassare?
Se vi è un generale consenso sugli apporti calorici e la distribuzione dei nutrienti durante il periodo di chetosi e anche sulla durata del periodo di chetosi, non esistono praticamente riferimenti scientifici validi sulle modalità per far uscire il paziente dalla chetosi e portarlo ad una graduale rieducazione alimentare, se non quello di modulare progressivamente l’introduzione di carboidrati, fino ad un apporto definito dalle linee guida per una corretta e sana alimentazione mediterranea fino al mantenimento del peso desiderabile.
Il periodo di transizione è ritenuta la fase fondamentale nel percorso di perdita del peso perché è grazie ad esso che si determina il successo del dimagrimento e il mantenimento del peso ideale a lungo termine.
È, inoltre, il momento giusto per accompagnare il paziente ad un percorso di educazione alimentare dove possiamo approfondire la conoscenza della lettura delle etichette alimentari, consigli utilissimi per una spesa più consapevole.
Si possono ipotizzare due diversi approcci metodologici:
- il primo, più tradizionale, consiste nell’utilizzare step crescenti che apportano una quantità di calorie con aggiustamenti di alimenti e di calorie che proseguono nel tempo per 8/12 settimane e oltre;
- il secondo, a più fasi, in cui i progressivi aumenti calorici vengono alternati a periodi più ristretti di chetosi con una durata variabile.
Anche all’interno della transizione, possono essere eventualmente contemplati alcuni pasti sostitutivi, veri e propri alimenti funzionali utilissimi soprattutto per il mantenimento del corretto apporto proteico.
4 Che cos’è la flessibilità metabolica?
La letteratura scientifica più recente promuove proprio la ricerca di una cosiddetta “flessibilità metabolica”, attraverso una vera e propria ciclizzazione della quantità e della qualità dei carboidrati (preferendo quelli integrali a basso indice glicemico) e del carico calorico che dovrebbe migliorare il mantenimento di un metabolismo flessibile appunto, per ostacolare la riduzione del metabolismo di base post dimagrimento e la sua stabilizzazione su livelli più bassi.
Inoltre, permette di utilizzare diverse fonti energetiche (i grassi per esempio) in base alle condizioni metaboliche, allo stato di allenamento e alla disponibilità dei nutrienti stessi.
Lo scopo di questo cambiamento di substrato è quello di passare da processi catabolici (dove “distruggo” la muscolatura e quindi aumento fondamentalmente l’infiammazione) a processi anabolici (in cui “costruisco” e/o riparo la muscolatura) per poter immagazzinare al meglio l’energia nei muscoli, nel fegato e nel tessuto adiposo.
Il rilascio di insulina è lo stimolo principale di questo cambiamento, motivo per cui la flessibilità metabolica è considerata anche un buon predittore per il diabete di tipo 2 (T2DM), l’obesità e le malattie cardio-metaboliche.
Ma come si può migliorare la flessibilità metabolica?
Innanzitutto un grande aiuto, lo possiamo ottenere con l’esercizio fisico che, a maggior ragione in un momento di re-introduzione dei carboidrati, deve diventare una strategia fondamentale per ottenere il giusto carburante per il nostro corpo.
Recenti studi scientifici hanno dimostrato come 30/45 minuti di HIIT (High Intensity Interval Training) praticati possibilmente alla mattina, possono rappresentare la miglior attività fisica in grado di aumentare il nostro dispendio calorico, alternando le nostri fonti energetiche muscolari, epatiche e di riserva, fornendo i giusti stimoli allenanti al nostro corpo.
Un altro buon esempio per indurre questo tipo di flessibilità metabolica, potrebbe essere il digiuno notturno; infatti mentre una persona dorme vi è un consumo delle riserve di glucosio nel fegato (il cosidetto glicogeno epatico) portando ad un maggior consumo di acidi grassi (ricordiamo che il nostro cervello anche durante le ore notturne, consuma moltissimo glucosio per mantenere le proprie funzioni efficaci).
Quindi, l’unico punto fermo sull’approccio di reintroduzione o transizione, se preferiamo, sono diete ipocaloriche a stretta tradizione mediterranea (solo legumi e cereali – pane, pasta - a basso indice glicemico), se possibile cinque porzioni di verdura ad esclusione delle patate e piccole quantità di frutta. La frutta è sicuramente l’alimento più desiderato e richiesto dai pazienti ma “assente giustificato” nel periodo chetogenico e che di conseguenza viene richiesto più spesso al termine del protocollo.
Assieme alla dieta sarà fondamentale praticare un’attività fisica adeguata, possibilmente alla mattina, per mantenere un ottimale controllo della glicemia e della condizione muscolare.
Serena Di Santo
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