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Artrite reumatoide: cos’è e quali sono le terapie più efficaci

Artrite reumatoide: cos’è e quali sono le terapie più efficaci

Una malattia invalidante che è importante riconoscere in tempo per iniziare le cure. Ne parliamo con il Dott. Giovanni Mazzanti, reumatologo.

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L'artrite reumatoide (AR) è una malattia infiammatoria cronica delle articolazioni, in particolare della membrana sinoviale che le avvolge, causata da meccanismi autoimmuni anomali, che comportano nel tempo danni irreparabili alle ossa (erosioni) e alle cartilagini (assottigliamento) con conseguente disabilità, a volte molto grave.

È una patologia che colpisce lo 0,5% della popolazione, in prevalenza donne, in una proporzione di 3:1. Può comparire ad ogni età, con un picco tra  i 30 e i 50 anni. Chi fuma e chi ha in famiglia un consanguineo che ne è affetto rischia maggiormente di ammalarsi.

1 Quali sono i sintomi?

Essa si manifesta tipicamente con dolore e gonfiore alle piccole articolazioni di mani, polsi, piedi con distribuzione bilaterale e simmetrica. Nel tempo vengono interessate anche le grandi articolazioni (spalle, gomiti, anche, ginocchia, caviglie). 

Il dolore è di tipo infiammatorio, cioè non  migliora con il riposo, anzi, è presente anche di notte, al mattino e al risveglio. Quando le articolazioni sono rigide i semplici atti quotidiani, come lavarsi o vestirsi, possono diventare un problema.

2 Quali sono le cause?

L'eziologia non è nota. Nel corso degli anni si è attribuito un ruolo eziologico a virus (Epstein Barr) o batteri (Escherichia Coli e Proteus). Recentemente è stata focalizzata l'attenzione nei riguardi del Porphyromonas gingivalis, un batterio che è causa della parodontite. 

Sicuramente ha un’origine genetica: è stata individuata un'associazione con l'antigene di istocompatibilità HLA-DRB1. Un ruolo nello sviluppo della malattia è stato attribuito anche a due autoanticorpi, di sovente presenti nel sangue dei pazienti: il fattore reumatoide e, soprattutto, gli autoanticorpi anti-peptidi citrullinati (ACPA).  

Si è potuto constatare che la presenza degli ACPA nel sangue di soggetti sani può precedere anche di anni l'insorgenza della malattia.

Un filone della ricerca scientifica sta focalizzando l'attenzione sul ruolo della flora intestinale (microbioma) e delle sue alterazioni, sostenendo l'importanza di una disbiosi nello sviluppo della malattia. 

L'adozione di una dieta ricca di acidi grassi e alimenti ad alto potenziale antiossidante come:

  • omega3
  • pesce
  • olio di oliva
  • verdure
  • succo di mirtillo

servirebbe a prevenire lo sviluppo e/o ad attenuare l'infiammazione e i sintomi correlati, specie il dolore.

Nel complesso è pensabile che l'AR insorga per la concomitanza di più fattori predisponenti genetici, ambientali, immunitari e di errati stili di vita.

3 Come si esegue la diagnosi?

La diagnosi scaturisce principalmente dall'esame obiettivo sul paziente. All'esordio sono presenti gonfiore e dolore a carico delle piccole articolazioni delle mani (metacarpo-falangee e interfalangee prossimali), dei polsi e dei piedi. Successivamente vengono interessate anche le grandi articolazioni. 

Dopo sei settimane dall'esordio si può ragionevolmente ritenere che la malattia sia cronica, dunque destinata a permanere. Dopo tre mesi ne abbiamo la certezza. 

Molto spesso la diagnosi viene confermata dall'incremento di alcuni parametri laboratoristici di infiammazione, come la velocità di eritrosedimentazione (VES) e la proteina C-reattiva (PCR). Inoltre, spesso, vi è positività per la ricerca del fattore reumatoide (60% circa dei casi) e/o degli ACPA (50%). Mentre gli ACPA sono specifici per l'artrite reumatoide, il fattore reumatoide è poco specifico, perché non di rado è positivo anche in altre malattie (reumatiche, epatiche, infettive) o addirittura  in persone sane, specie se di età avanzata.
La positività per il fattore reumatoide e/o per gli ACPA caratterizza, inoltre, una maggiore aggressività della malattia, tanto da poter distinguere un'artrite reumatoide "sieropositiva", più grave, dall'artrite reumatoide "sieronegativa", caratterizzata da minore evolutività. 

Nella diagnosi precoce ci avvaliamo pure del contributo della risonanza magnetica e dell'ecografia, che confermano la presenza di un versamento all'interno dell'articolazione, dell'ispessimento della membrana sinoviale e della distensione della capsula articolare. 

Nelle fasi più tardive, cioè almeno dopo un anno dall' esordio della malattia, le radiografie standard sono in grado di evidenziare le erosioni articolari e il loro eventuale aggravarsi col passare del tempo. 

Infine, con l'ecografia siamo in grado di documentare l'attività e l'evoluzione della malattia.

Per la corretta diagnosi il reumatologo esclude altre patologie, che possono avere una presentazione clinica simile, perciò, opererà una diagnosi differenziale escludendo, ad esempio, l'artrite psoriasica, il lupus eritematoso sistemico, la gotta cronica. Sarà la raccolta dei dati anamnestici, la ricerca di altri segni di malattia e il risultato di alcuni esami laboratoristici mirati a dipanare il dubbio diagnostico.

4 Qual è la terapia più efficace?

Lo scopo della terapia è la remissione della malattia. Questa si ottiene con il controllo dell'infiammazione e del dolore nonché con l'arresto della progressione del danno delle articolazioni e della conseguente disabilità.

Il più efficace approccio richiede una diagnosi quanto più precoce possibile. Pertanto, è indispensabile che il medico di famiglia avvii tempestivamente il paziente allo specialista reumatologo. Prima vengono iniziate le cure appropriate, maggiore è la probabilità di indurre lo stato di remissione.

Una volta formulata la diagnosi lo specialista illustra al paziente le opzioni terapeutiche, ne tratteggia i vantaggi e i potenziali effetti collaterali. 

Le scelte terapeutiche devono trovare una convinta condivisione. Il paziente informato e consapevole dell'utilità delle cure è quello che otterrà  i migliori risultati.

Per il controllo immediato del dolore si utilizzano farmaci antinfiammatori e cortisonici. Questi ultimi sono più efficaci, ma sono anche gravati da numerosi e importanti effetti collaterali, la cui gravità è correlata alla dose quotidiana e alla durata d'impiego. Ne ricordiamo alcuni: 

  • osteoporosi
  • ipertensione arteriosa
  • assottigliamento della pelle
  • ecchimosi che compaiono per minimi traumi o spontaneamente
  • incremento della glicemia
  • cataratta
  • accumulo di tessuto adiposo al viso (a luna piena) e all'addome
  • perdita di tessuto muscolare.  

Per questo motivo le linee guida internazionali sul trattamento dell'artrite reumatoide ne raccomandano un impiego giudizioso, con la minima dose sufficiente a controllare i sintomi per il più breve tempo possibile.

Le terapie per arrestare il decorso

La strategia terapeutica vincente prevede piuttosto l'impiego di farmaci che spengono in modo radicale i fenomeni infiammatori articolari. Questi sono i cosiddetti farmaci di fondo (DMARDS). Diversamente dagli antiinfiammatori essi agiscono lentamente e sono in grado inoltre di arrestare la progressione del danno articolare.

Essi sono distinti in tre categorie. La prima comprende i farmaci cosiddetti "tradizionali", entrati nell'uso clinico già da alcuni decenni. Tra essi annoveriamo:

  • gli antimalarici Clorochina e Idrossiclorochina, impiegati già dal 1960
  • la Sulfasalazina, un farmaco efficace anche nelle malattie infiammatorie intestinali croniche (M. di Crohn e Colite Ulcerosa)
  • la Leflunomide
  • il Metotressato, un chemioterapico impiegato dagli anni 70' nella cura di leucemie e di tumori ovarici

Ad eccezione della Leflunomide, il loro utilizzo in reumatologia è frutto dell'esperienza empirica e il loro meccanismo d'azione non completamente conosciuto. 

Il più largamente utilizzato è il Metotressato, che nell'artrite reumatoide e in altre malattie autoimmuni (es. Psoriasi) viene utilizzato a dosi molto più basse di quelle oncologiche. In questo modo è in grado di modulare in modo benefico l'eccessiva attività di alcune cellule immunocompetenti. 

Di tutti i farmaci antiartritici di fondo, compresi quelli di più recente introduzione, il Metotressato rappresenta tuttora l'opzione terapeutica principale, di riferimento e di confronto, per ogni nuova molecola introdotta sul mercato. 
Per questo motivo viene soprannominato farmaco "àncora".

Dalla fine degli anni 90' sono entrati nell'uso clinico grosse molecole proteiche, più spesso anticorpi monoclonali (cioè tutti identici tra loro), prodotti per mezzo di cellule animali o umane.
Questi sono in grado di colpire bersagli extracellulari rappresentati da segnali di attivazione dell'infiammazione (ad es. TNFalfa, Interleuchina 6) sintetizzati da cellule immunocompetenti (Etanercept, Adalimumab, Golimumab, Certolizumab, Tocilizumab, Sarilumab) oppure di inattivare cellule linfocitarie (Rituximab), portando allo spegnimento dei fenomeni infiammatori che causano il danno alle articolazioni. 

Queste molecole trovano impiego nei casi di malattia più grave, dove non c'è stata una risposta adeguata con i farmaci di sintesi tradizionali. Essi vengono generalmente associati al Metotressato.

La più recente opzione terapeutica è rappresentata dai farmaci di fondo sintetici "mirati" o JAK inibitori (Baricitinib, Tofacitinib, Upadacitinib, Filgotinib), piccole molecole in grado di inibire le cellule immunocompetenti nella loro funzione di sintesi di alcune molecole pro-infiammatorie (Interleuchine, Interferone). 

Sono farmaci assunti per via orale. Trovano spazio in caso di fallimento dei farmaci biotecnologici.

Purtroppo ad oggi non possediamo ancora il farmaco in grado di guarire definitivamente l'artrite reumatoide. Tuttavia, nel corso degli ultimi decenni la ricerca scientifica sta acquisendo nel campo dell'immunologia conoscenze tanto profonde da farci pensare che fra non molto la guarigione dalla malattia sarà un traguardo tangibile.

Dott. Giovanni Mazzanti Dott. Giovanni Mazzanti
Dott.

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